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Ora la “bella favola” è finalmente realtà: in Friuli Venezia Giulia funziona tutto a meraviglia.
O almeno è Debora Serracchiani che così afferma dalle televisioni. Anche da “La7” l’ho sentita più volte “arringare”, senza che ci fosse qualcuno a smentirla, che nella sua regione – ovvero in quella che lei amministra – tutto procede secondo i piani.
In effetti, non c’è che dire, dal governo centrale fino all’ultima borgata, la strategia della rottamazione progressiva di questo Stato sta procedendo alacremente e proprio nella sanità e nel sociale stanno i suoi tasselli portanti.
Ragionando in quest’ottica di smantellamento, sono stati tagliati posti letto, chiusi ospedali del territorio, decurtati i servizi, fra i quali anche le autoambulanze.
Ad assottigliare le lunghe liste d’attesa poi ci ha pensato il governo, monitorando i medici perché non prescrivano “esami inutili”.
Naturalmente, dato che spesso “la toppa è peggiore del buco”, ora è obbligatorio guarire all’istante, soprattutto dopo un intervento chirurgico, perché le dimissioni non aspettano, seguono a ruota in due o tre giorni.
Invece di potenziare i PACU (Post Anestesia Care Unit) si dimettono quindi le persone, infischiandosene se sul territorio ci siano o meno servizi adeguati per il post degenza mentre si comunica ai media che “i reclami sono diminuiti”.
In fondo, meno uno sta “dentro”, meno si accorge delle condizioni in cui sta.
Invece, fuori, ha già troppi problemi a cui far fronte per reclamare un disagio che forse nessuno ha il tempo di leggere.
La parola d’ordine del Pd è quindi demolire ma non tutto, non il proprio, singolo, star meglio.
E la Serracchiani lo sa bene, dato che, quando (spesso) va a Roma, soggiorna nel palazzo di rappresentanza della Regione, in piazza Colonna 355.
A domanda, di Alan Friedman, ha risposto essere “a costo zero” – suo? – allora è ospite, a costo intero, nostro.
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Ci si recava in posta anche per avere un contatto col mondo, ora questo contatto non funziona più. E lo sfacelo italiano prosegue.
Nel 1998, quando Romano Prodi nominò Corrado Passera amministratore delegato di Poste italiane, iniziò un lungo percorso che ha trasformato il servizio pubblico per la distribuzione della corrispondenza e dei pacchi in un disservizio, soprattutto per le periferie e i piccoli paesi, dove però molti uffici sono in via di chiusura o funzionano a giorni alterni.
La ricerca del profitto di questa società per azioni ha distrutto il concetto stesso di pubblica utilità. Entrando nel business finanziario ha poi definitivamente atrofizzato il principio per cui era nata.
Ora ne siamo gli utenti, talvolta obbligati, soprattutto gli anziani, che in posta hanno dovuto aprire un conto corrente per l’accredito della pensione.
Non tutto può venir eseguito via internet e non tutti sono in possesso di un pc connesso alla rete, soprattutto nella fascia più anziana della popolazione.
Per loro, recarsi all’ufficio postale, oltre che una fatica, è divenuto un azzardo, perché potrebbe essere chiuso, potrebbe non esserci la persona addetta a quella specifica funzione, potrebbe essere in tilt il sistema informatico, potrebbe non essere attivo quel servizio che hai pagato ma che, in quella zona, non è più previsto.
Anche il recapito della corrispondenza versa nelle stesse condizioni e la posta, anche quella “celere”, se il postino di zona è in ferie o comunque assente, arriva quando arriva.
Se arriva.
Poste Italiane SpA: un pubblico servizio a intermittenza, a carico della collettività.
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“A pensar male si fa peccato – diceva Andreotti – ma spesso ci si azzecca”. Sulla carta sono previsti aiuti vari per chi, in questo particolare momento, si trovi in difficoltà economica. Purtroppo, questa difficoltà è certificata dalla dichiarazione ISEE, il reddito di tutto il nucleo famigliare.
E proprio sull’ISEE, quest’anno, il governo ha dato davvero il meglio di sé, tanto da far pensare che il tutto sia stato studiato a tavolino per evitare di erogare troppi fondi.
Intanto, sorpresa: la nuova ISEE per il 2015 si basa sui redditi 2013, proprio come quella dell’anno scorso! Ma in un anno, nell’attuale contingenza, le cose possono cambiare parecchio.
Per compilare l’ISEE occorre recarsi a un CAF e qui sta la prima nota dolente: la lista di attesa è infinita così come la ricerca di tutti i documenti necessari mentre, invece, le domande per ottenere questo o quel contributo, da veri bandi hanno una scadenza, che spesso si chiude prima della data dell’appuntamento al CAF.
In più, altra novità, se prima se ne poteva usufruire subito, ora bisogna attendere altri 15 giorni, perché questo documento deve passare il vaglio dell’INPS, che lo rimanderà al CAF, dove bisognerà tornare per – finalmente! – poterlo avere abile all’uso.
Ma vien mandato a quello stesso INPS che fa diversi errori nel calcolo delle pensioni (solo nella mia famiglia ce ne sono stati 5 o 6); lo stesso INPS che inviava quintali di raccomandate con richieste di contributi, spesso a causa di inserimenti errati dei suoi stessi impiegati, tanto poi sta all’utenza perdere tempo e denaro per dimostrare gli errori altrui, discutendo all’esaurimento per far capire all’addetto di turno – e questa non è una barzelletta, è un esempio reale – che i religiosi non pagavano Gescal e maternità.
Lo stesso INPS che eroga con notevoli ritardi disoccupazione, casse integrazione, ecc., ecc., costringendo le persone in difficoltà a ricorrere alle banche per ottenere un anticipo, talvolta oneroso.
Lo stesso INPS, appunto, ora deve anche verificare le dichiarazioni ISEE!
Dov’è la semplificazione fiscale tanto sbandierata dal governo? Che fine ha fatto il principio di un ammortizzatore sociale tempestivo? Dov’è finito il concetto di equità tra i palazzi signorili del potere e la povertà sempre più dilagante?
Fausta Grattoni